LE FORME DI PRODUZIONE SUCCESSIVE

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NELLA TEORIA MARXISTA . 1960 - 1980
arteideologia raccolta supplementi
made n.21 Dicembre 2023
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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FORMA QUINARIA: IL COMUNISMO . CAP. 6 .1
"Tutto dipenderà in Germania dalla possibilità di una riedizione della guerra dei contadini che appoggi la rivoluzione proletaria" (Marx ad Engels, 16 aprile 1856).
"Più m'inoltro in questa merda (lo studio dell'economia politica), più mi convinco che la riforma dell'agricoltura e dunque anche degli infetti rapporti di proprietà che ne derivano – è l'alfa e l'omega della futura rivoluzione delle condizioni economiche". (Marx ad Engels, 14 agosto 1851)

ABOLIZIONE   DELL'ANTAGONISMO TRA AGRICOLTURA E INDUSTRIA, CAMPAGNA E CITTA'

INDIRIZZO DELLA LEGA DELLA TERRA E DEL LAVORO [1]

È stata appena fondata una nuova organizzazione operaia denominata Lega della Terra e del Lavoro.
Un Consiglio esecutivo, composto da oltre quaranta rappresentanti ben conosciuti dai lavoratori, è stato nominato per redigere una piattaforma di principi fondati sulle risoluzioni preliminari adottate dalla conferenza, a mo' di programma di azione, mediante cui possa essere attuato un cambiamento radicale.
Dopo matura riflessione, il Consiglio si è accordato sui punti seguenti:
1. Nazionalizzazione del suolo.
2. Colonizzazione interna.
3. Istruzione pubblica, laica, gratuita ed obbligatoria.
4. Abolizione delle banche private di emissione. Solo lo Stato è ....qualificato per emettere carta-moneta.
5. Istituzione  d'una imposta diretta e  progressiva sulla proprietà, che ....sostituisca tutte le altre imposte.
6. Liquidazione del debito nazionale.
7. Abolizione dell'esercito permanente.
8. Riduzione delle ore di lavoro.
9. Suffragio universale e uguale, indennità parlamentare. [2]
Il successo dei nostri sforzi dipenderà dalla pressione che potrà essere esercitata sui poteri esistenti, e ciò esige numero, unione, organizzazione e coordinazione. Vi chiamiamo perciò ad unirvi, ad organizzarvi, a coordinare i vostri sforzi e a lanciare attraverso l'Irlanda, la Scozia, il Galles e l'Inghilterra, la parola d'ordine: la terra al popolo, erede legittimo dei doni della natura. Nessun ordine sociale sarebbe razionale se abbandonasse la terra, fonte della vita, al controllo, all'arbitrio e ai capricci di alcuni individui. Un governo eletto da tutto il popolo e investito della sua fiducia è l'unico potere che possa valorizzare la terra per il bene dell'intera comunità.
Dovete esigere che lo Stato recuperi le terre abbandonate, come inizio della nazionalizzazione, per insediarvi i disoccupati. Non permettete più che un solo acro di terra comunale venga recintato per servire gli interessi egoistici dei non-produttori. Forzate il governo ad impiegare l'esercito – fino alla sua dissoluzione finale – a dissodare, drenare e spianare le terre incolte allo scopo di valorizzarle, anziché creare dei campi militari, il cui scopo è la distruzione della vita. Se i campi verdeggianti e i pascoli sono incompatibili con il nobile sport della caccia, i cacciatori non devono far altro che emigrare ...
Nessuna cosa al mondo, se non una serie di riforme radicali come quelle indicate nel nostro programma, vi potrà mai sollevare dall'abisso di miseria nel quale siete attualmente immersi. La difficoltà può essere superata con l'unità di scopo e di azione. Noi abbiamo il numero, mentre i nostri nemici sono poco numerosi. Lavoratori, uomini e donne, di ogni fede e professione, rivendicate i vostri diritti come una sola voce, riunitevi e unite le vostre forze sotto la bandiera della Lega della Terra e del Lavoro, per conquistare la vostra emancipazione!

Programma di transizione nell'agricoltura

Qual è dunque la nostra posizione nei confronti dei piccoli contadini?
E come dobbiamo agire nei loro confronti, il giorno in cui conquisteremo il potere? [3]
È prima di tutto incondizionatamente giusta la formula del programma operaio francese, secondo cui noi prevediamo l'inevitabile sparizione del piccolo contadino, ma non siamo in alcun modo chiamati ad accelerarla con i nostri interventi. [4]
È del tutto evidente, in secondo luogo, che, quando avremo conquistato il potere, non potremo assolutamente pensare di poter espropriare con la forza i piccoli contadini (sia con indennizzo o senza), come saremo al contrario obbligati a fare con i grandi proprietari fondiari. [5]
Il nostro compito nei confronti del piccolo contadino consisterà prima di tutto nell'alzare la sua produzione e il suo possesso individuale al livello della cooperativa, non con la forza, ma per mezzo dell'esempio e offrendogli a questo fine il concorso e le risorse della società.
E certamente non ci mancheranno i mezzi per far intravvedere al piccolo contadino quei vantaggi ai quali sin da ora egli è manifestamente sensibile. Già da circa vent'anni, i socialisti danesi che in tutto il paese hanno una sola vera e propria città – Copenaghen – sicché, al di fuori di questa, devono dedicarsi quasi esclusivamente alla propaganda tra i contadini, hanno elaborato progetti di questo tipo. I contadini d'un villaggio o di una parrocchia – vi è in Danimarca un buon numero di singole fattorie molto grandi – devono riunire tutte le loro terre in un solo grande fondo per coltivarlo in comune, ripartendo i prodotti in proporzione alla terra messa in collettivo, al denaro anticipato e al lavoro fornito. In Danimarca, la piccola proprietà gioca tuttavia un ruolo secondario.
Ma se applichiamo questa concezione a un paese in cui regna la proprietà parcellare, allora constateremo che, riunendo i lotti e coltivando queste grandi superfici seguendo i metodi della grande conduzione, una parte della manodopera impiegata fino a quel momento diverrà superflua. Proprio in questo risparmio di lavoro risiede uno dei principali vantaggi della grande coltura. Questa manodopera potrà essere impiegata in due modi: o si metteranno a disposizione della cooperativa contadina nuove terre tratte dai fondi vicini; o si forniranno ad essa i mezzi per associarsi – il più possibile e di preferenza per il consumo interno – in una attività industriale.
In entrambi i casi, si eleva la cooperativa ad una situazione economica superiore e si assicura al contempo, all'amministrazione che dirige la società in generale, l'influenza necessaria per far passare progressivamente la cooperativa contadina ad una forma superiore ed equiparare i diritti ed i doveri – sia della cooperativa nel suo insieme che dei suoi singoli membri – in confronto agli altri settori della grande comunità.
Le misure nei loro dettagli ci saranno dettate dalle condizioni particolari e dalle circostanze nelle quali avremo preso il potere. Così potremo trovarci nella possibilità di offrire ancora altri vantaggi a queste cooperative: come, ad esempio, l'assunzione da parte della Banca nazionale dell'insieme dei loro debiti ipotecari, con una forte riduzione del tasso di interesse; l'anticipo di fondi pubblici per intraprendere una coltura su larga scala (anticipo che non consisterà necessariamente o prevalentemente in denaro, ma in prodotti utili: macchine, concimi, eccetera) e ancora altri vantaggi.
La cosa più importante in tutto ciò è di far ben comprendere ai contadini che noi possiamo salvare e preservare il possesso della loro casa e della loro terra solo convertendola in possesso e conduzione cooperativa. Non è forse proprio la conduzione parcellare dettata dal possesso individuale a portare i contadini alla rovina? Se restano abbarbicati alla loro parcella individuale, saranno ineluttabilmente cacciati dalla loro terra e dalla loro proprietà, perché la grande conduzione capitalistica non può non soppiantare il loro modo di produzione sorpassato. Così stanno le cose, e noi interveniamo per offrire ai contadini la possibilità di instaurare essi stessi la coltivazione su larga scala, ma per proprio conto e non dei capitalisti. Non sarebbe dunque possibile far comprendere ai contadini che ciò è nel loro interesse, che è l'unica loro via di salvezza? ...
Noi ci poniamo risolutamente a fianco del piccolo contadino – e faremo quanto è possibile per rendergli più tollerabile la sua sorte, per facilitargli la transizione alla cooperativa, qualora egli si decida a questo, oppure per lasciargli il tempo di riflettere sulla sua parcella, qualora non si senta di prendere subito una tale decisione.
E agiamo così non solo perché consideriamo il piccolo proprietario coltivatore diretto come uno che è potenzialmente dei nostri, ma anche nell'interesse stesso del Partito: più grande è il numero dei contadini ai quali eviteremo la caduta effettiva nel proletariato, e che potremo conquistare alla nostra causa già come contadini, più il rivoluzionamento della società sarà rapido e facile.[6]
Non è assolutamente nel nostro interesse attendere, per questa trasformazione, che la produzione capitalistica si sia sviluppata ovunque sino alle sue estreme conseguenze, sino a che l'ultimo piccolo artigiano e l'ultimo piccolo contadino siano divenuti vittime della grande impresa capitalistica. Dal punto di vista dell'economia capitalistica, i sacrifici materiali che si possono fare su questo piano nell'interesse dei contadini, utilizzando fondi pubblici, possono apparire solo denaro sprecato, ma sono invece un eccellente investimento capace di ridurre forse di dieci volte le spese di riorganizzazione della società. Possiamo dunque comportarci, in questo senso, in modo molto liberale con i contadini. Non è questa la sede per entrare nei dettagli e fare delle proposte precise in questa direzione; non può qui trattarsi che di principi generali.
Di conseguenza, non possiamo rendere peggior servizio e al Partito e ai piccoli contadini che far dichiarazioni le quali diano anche soltanto l'impressione che noi abbiamo l'intenzione di conservare in modo durevole la proprietà parcellare. Ciò significherebbe sbarrare direttamente ai contadini la strada della loro liberazione e abbassare il Partito al livello dell'antisemitismo chiassoso. Al contrario: il nostro Partito ha il dovere di spiegare senza tregua né riposo ai contadini che la loro situazione è senza speranza finché dominerà il capitalismo e che è assolutamente impossibile preservare la proprietà della loro parcella in quanto tale [7]. È infatti assolutamente certo che la grande produzione capitalistica sommergerà la loro impotente e superata conduzione, così come un treno schiaccia una carriola. Agendo così, noi ci muoveremo nel senso dell'inevitabile sviluppo economico, e questo stesso si incaricherà di rendere le teste ricettive alle nostre parole ...
Veniamo ora ai contadini più grossi. In questa categoria incontriamo, soprattutto a causa della ripartizione ereditaria, ma anche dell'indebitamento o della vendita forzosa della terra, tutto un campionario di forme intermedie che vanno dal contadino parcellare sino al grosso contadino che possiede tutta la sua antica proprietà rurale e qualche cosa di più. Là dove il contadino medio vive tra i contadini parcellari esso non si distingue da questi in modo essenziale per i suoi interessi e per la sua mentalità: egli sa per esperienza che molti dei suoi pari sono precipitati nella massa dei piccoli contadini. Ma le cose vanno ben altrimenti là dove predominano i contadini medi e grossi e dove la conduzione dei fondi si compie in genere con l'aiuto di servi. Un Partito operaio difende naturalmente in primo luogo i salariati, cioè i servi (uomini e ragazze) e braccianti. Esso si interdice perciò di fare ai contadini qualsiasi tipo di promessa che implichi la persistenza dello sfruttamento salariato degli operai. Ma, sino a quando i contadini grossi e medi continueranno a sussistere in quanto tali, non potranno fare a meno dei salariati. Per cui, se è semplicemente stupido da parte nostra promettere ai contadini parcellari di continuare a lasciarli vegetare come piccoli contadini, sarebbe un tradimento vero e proprio voler promettere la stessa cosa ai contadini medi e grossi [8].
Qui si ripropone un confronto con gli artigiani delle città. Certo, il più delle volte essi sono andati in rovina anche più in fretta dei contadini, ma ve ne sono ancora che impiegano operai accanto ad apprendisti o presso cui gli apprendisti fanno un lavoro da operai. Quei piccoli padroni, che vogliono sopravvivere in eterno come tali, possono recarsi dagli antisemiti finché non si convincano che anche  lì non vi è per essi salvezza. Gli altri, che hanno riconosciuto l'inevitabilità della loro sparizione, si avvicinano a noi e sono anche pronti a condividere la sorte che attende tutti gli operai. Non altrimenti vanno le cose per i contadini grandi e medi. Va da sé che i loro servi (uomini e ragazze) e braccianti ci interessano più di loro. Se questi contadini ci domandano di garantire la conservazione della loro proprietà, non possiamo fare assolutamente niente per loro. Il loro posto è tra gli antisemiti, le leghe contadine e quei partiti che si dilettano di promettere tutto e di non mantenere nulla.
Sul piano economico, abbiamo la certezza che i contadini medi o grandi soccomberanno immancabilmente alla concorrenza dei grandi imprenditori capitalisti e dei produttori di grano a buon mercato d'oltre oceano – come testimoniano il crescente indebitamento e l'evidente declino di tutta questa fascia di contadini. Noi non possiamo opporre niente a questo declino all'infuori che proporre, anche in questo caso, la riunione dei beni in aziende cooperative, che elimineranno rapidamente il salariato e potranno gradual­mente trasformarsi in un settore, con eguali diritti ed eguali doveri, della grande cooperativa nazionale di produzione.[9] 
Se questi contadini ammettono che la rovina del loro modo di produzione attuale è inevitabile e se ne traggono le necessarie conseguenze, essi verranno allora verso di noi, e sarà nostro compito facilitar loro, nei limiti delle nostre forze, la transizione al nuovo modo di produzione. In caso contrario, dovremo abbandonarli alla loro sorte e rivolgerci ai loro salariati che non resteranno insensibili ai nostri appelli. Anche qui potremo verosimil­mente evitare un'espropriazione violenta e, per il resto, contare sullo sviluppo economico per ridurre alla ragione anche queste teste un po' più dure.
Le cose si presentano in modo del tutto semplice solo per la grande proprietà fondiaria. Qui ci troviamo di fronte ad aziende chiaramente capitalistiche e non è il caso di avere scrupoli di qualsiasi genere.
Qui ci troviamo di fronte a masse di proletari agricoli e il nostro compito è chiaro. Appena il nostro Partito terrà le redini del potere, esso dovrà semplicemente espropriare i grandi proprietari fondiari, proprio come i grandi industriali. Se questa espropriazione avverrà con o senza indennizzo non dipenderà tanto da noi quanto dalle circostanze nelle quali giungeremo al potere, e soprattutto dall'atteggiamento dei signori grandi proprietari stessi.
Non consideriamo l'indennizzo assolutamente inammissibile in qualsiasi circostanza. Non so quante volte Marx mi abbia espresso l'opinione che ce la caveremmo a buon mercato se potessimo comprare tutta questa banda![10]
Ma non è questo che ora ci interessa. Le grandi proprietà, recuperate alla comunità, dovranno essere trasferite agli operai agricoli che già oggi le coltivano: essi si organizzeranno in cooperative per la loro utilizzazione sotto il controllo della collettività. Con quali modalità è cosa che ora non si può ancora determinare.
In ogni caso, la trasformazione dell'azienda da capitalistica a sociale è qui già del tutto pronta e può essere realizzata da un giorno all'altro, proprio come, per fare un esempio, per le fabbriche del signor Krupp o del signor Stumm. >

L'esempio di queste cooperative agricole persuaderebbe anche gli ultimi contadini parcellari ancora esistenti, e probabilmente anche molti grossi contadini, dei vantaggi della grande conduzione cooperativa.
C
osì possiamo fare intravvedere ai proletari agricoli una prospettiva brillante come quella che si delinea per gli operai dell'industria.
La conquista degli operai agricoli della Prussia Orientale è dunque per noi solo una questione di tempo e del tempo più breve. E appena avremo conquistato i braccianti agricoli dell'Est dell'Elba, subito tirerà un'altra aria in tutta la Germania, poiché il principale fondamento dello Stato è ivi costituito dal regime degli junker prussiani, con la specifica egemonia della Prussia ...
Esaminiamo ora un po' più da vicino i "considerando" del programma del partito operaio francese, il quale afferma che la libertà dei produttori implica il possesso dei mezzi di produzione [11].
Prima di tutto bisogna precisare questa formula, distinguendo tra due forme: o come proprietà individuale, forma, questa, che non si è mai generalizzata per tutti i produttori e che viene resa sempre più impossibile dal progresso industriale; o come proprietà collettiva, le cui condizioni materiali ed intellettuali sono già state create dallo sviluppo stesso della società capitalistica. Ciò significa che la proprietà COLLETTIVA dei mezzi di produzione deve essere conquistata con la lotta, mettendo in opera tutti i mezzi di cui dispone il proletariato.
Occorre dunque rivendicare qui il possesso collettivo dei mezzi di produzione come l'unico obiettivo fondamentale della nostra lotta. Il terreno è già preparato non solo nell'industria, ma in generale, e quindi anche nell'agricoltura. Il programma stesso ammette che la proprietà individuale non si è mai estesa in nessun luogo a tutti i produttori. Proprio per questo e perché il progresso industriale la toglie in ogni caso di mezzo, il socialismo non ha alcun interesse alla sua conservazione, dal momento che essa là dove esiste e nella misura in cui esiste, rende impossibile la proprietà comune.
Il possesso dei mezzi di produzione da parte dei singoli produttori, non conferisce più a questi, oggigiorno, alcuna reale libertà. L'artigianato nelle città è già rovinato; nei grandi centri come Londra, è già totalmente scomparso, sostituito dalla grande industria, dallo sfruttamento intensivo del lavoro e dai miserabili parassiti che vivono sulla bancarotta degli altri. Il piccolo contadino coltivatore diretto non è sicuro del possesso del suo pezzo di terra né tanto meno è libero. Lui stesso, come la sua casa, la sua azienda, i suoi pochi appezzamenti, appartengono all'usuraio; la sua esistenza è priva di sicurezza quanto e più di quella del proletario salariato che, almeno di tanto in tanto, può avere giornate di tranquillità, ciò che non capita mai al contadino schiavo dei debiti. Soppresso l'art. 2102 del Codice civile sui pignoramenti e garantito per legge un fondo di attrezzi, bestiame, ecc., non pignorabile, non si può con ciò garantirlo nei confronti di una situazione in cui egli è forzato a vendere "liberamente" il suo bestiame, in cui egli si deve dare anima e corpo all'usuraio ed è lieto se può procurarsi così un giorno di tregua. Il vostro tentativo di proteggere il piccolo contadino nella sua proprietà non garantisce la sua libertà, ma solo una forma particolare della sua servitù; prolunga una situazione in cui egli non può vivere né morire. Il riferimento del primo paragrafo del vostro programma è dunque qui del tutto fuori posto.
La vostra argomentazione afferma che attualmente, in Francia, il mezzo di produzione, cioè la terra, sarebbe ancora in moltissime località posseduto a titolo individuale dai produttori stessi; e che compito del socialismo non sarebbe dividere la proprietà del lavoro, ma al contrario riunire nelle stesse mani questi due fattori di ogni produzione. Abbiamo già sottolineato che, sotto questo aspetto generale, questo non è assolutamente il compito del socialismo, che deve invece trasferire i mezzi di produzione ai produttori a titolo collettivo. Se perdiamo di vista questo, la tesi che il socialismo non deve separare la proprietà dal lavoro ci induce direttamente nell'errore di ritenere che il socialismo sia chiamato a trasformare l'attuale fittizia proprietà del piccolo contadino in proprietà reale, ossia a trasformare il piccolo mezzadro in un proprietario e il proprietario indebitato in un proprietario sciolto dai debiti. Non è assolutamente in questa maniera che il socialismo è interessato a far sparire la falsa apparenza della proprietà contadina ... [12]
Com'è facile e piacevole sdrucciolare in basso, appena si ponga il piede su un terreno così scivoloso! Ora, che cosa risponderebbero i socialisti francesi se ad essi si presentassero i grandi e medi contadini tedeschi, pregandoli di intercedere in loro favore presso il Comitato Direttivo del Partito socialista tedesco affinché il Partito li protegga nella loro opera di sfruttamento dei propri braccianti e servi, invocando "lo sfruttamento di cui anch'essi sono vittima" da parte degli usurai, degli esattori, degli speculatori in grano e dei mercanti di bestiame?
E chi impedirà che i nostri grandi proprietari fondiari non inviino loro il conte Kaniz (che, del resto, ha presentato un progetto analogo, tendente alla nazionalizzazione dell'importa­zione dei cereali) a chiedere egualmente la difesa dei socialisti quando sfruttano gli operai agricoli, adducendo il pretesto dello ''sfruttamento di cui anch'essi sono vittime" da parte degli speculatori della Borsa, degli usurai e degli speculatori sul commercio dei cereali? ...
Io nego recisamente che il Partito operaio di un qualsiasi paese debba ammettere nei propri ranghi, oltre ai proletari agricoli e ai piccoli agricoltori, anche i contadini medi e grossi, o ancora i fittavoli di grandi proprietà, allevatori di bestiame e altri capitalisti che sfruttano il suolo nazionale. A tutti loro la feudalità terriera può apparire come nemico comune, e noi siamo d'accordo con loro su certe questioni e combattiamo al loro fianco per un certo tempo e per fini determinati. Ma, se nel nostro Partito possiamo ammettere individui di qualsiasi classe sociale, non possiamo però tollerare GRUPPI DI INTERESSI capitalistici, contadini o urbani.[13]
A nessuno di quei somari è venuto in mente di domandare a quegli ipocriti di Liberali se in Germania accanto alla piccola proprietà contadina non esista anche la grande proprietà fondiaria che costituisce la base dell'economia feudale rimasta, se durante una rivoluzione non si debba eliminare quest'ultima, se non altro per liquidare l'attuale regime dello Stato, e se ciò possa compiersi nella superata maniera del 1789? [14]. Ma no. Quei somari credono al Mayer svevo, per il quale la questione agraria ha un interesse pratico solo per quanto concerne la grande proprietà fondiaria in Inghilterra!
Si deve considerare come conseguenza del congresso dell'A.I.L. di Basilea la Costituzione (ispirata del resto direttamente dal Consiglio Generale) della Land and Labour League, con la quale il partito operaio si è completamente separato dalla borghesia: la nazionalizzazione della terra ne è stato il punto di partenza.
Ovunque predomina la media e la grande proprietà fondiaria, i salariati agricoli costituiscono la classe più numerosa nelle campagne [15].
È quanto si verifica in tutta la Germania settentrionale e orientale, e qui gli operai industriali delle città trovano i loro più naturali e più numerosi alleati. Il grande proprietario fondiario o il grande fittavolo ha con l'operaio agricolo gli stessi rapporti che il capitalista ha con l'operaio industriale. Perciò le misure che giovano all'uno devono giovare all'altro. Gli operai dell'industria possono emanciparsi solo se trasformano in proprietà della società, cioè in loro proprietà utilizzata da loro stessi in comune, il capitale dei borghesi, cioè le materie prime, le macchine, gli utensili e i mezzi di sussistenza indispensabili alla produzione. Similmente, gli operai agricoli possono essere liberati dalla loro spaventosa miseria solo se, prima di tutto, strappano alla proprietà privata dei grandi contadini e degli ancor più grandi signori feudali l'oggetto principale del loro lavoro, la terra, e la trasformano in proprietà sociale, coltivata da cooperative di operai agricoli per il loro utilizzo comune. E qui ritroviamo la famosa risoluzione del Congresso operaio internazionale di Basiiea [16], la quale proclama che la società ha interesse alla trasformazione della proprietà fondiaria in proprietà collettiva, nazionale. Questa risoluzione è stata formulata specialmente per i paesi in cui esiste la grande proprietà fondiaria e, quindi, la conduzione di grandi fondi con un solo padrone e molti salariati [17]. Ma in Germania questa situazione è sempre ancora prevalente, e per ciò la risoluzione era particolarmente appropriata per la Germania, oltre che per l'Inghilterra.,

VERSO L'ABOLIZIONE DELLE CLASSI

Elogio funebre del capitalismo

Ciò che dal lato del capitale appare come plusvalore, dal lato dell'operaio appare come sopralavoro oltre i suoi bisogni immediati necessari a farlo vivere in quanto operaio. Il grande ruolo storico del capitale è di produrre questo sopralavoro, che è tempo superfluo dal punto di vista del semplice valore d'uso, della semplice sussistenza [18].
E la sua funzione storica è compiuta non appena, da una parte, i bisogni sono talmente sviluppati che il sopralavoro, al di là del necessario, diventa esso stesso un bisogno generale, scaturisce cioè dagli stessi bisogni individuali; e, dall'altra parte, la laboriosità imposta dalla rigida disciplina del capitale alle successive generazioni è diventata il bene comune della nuova umanità [19].
Infine, la sua funzione storica è compiuta quando lo sviluppo delle forze produttive del lavoro – che il capitale nella sua illimitata brama di arricchimento e nelle condizioni in cui esso soltanto può realizzarlo, spinge avanti a colpi di frusta – è giunto a tal punto che la ricchezza generale esige:
1. che l'intera società si fissi un tempo di lavoro inferiore;
2. che l'umanità lavoratrice abbia instaurato un processo scientifico in vista della sua progressiva e sempre più ricca riproduzione. In altre parole: l'uomo non farà più quei lavori che le macchine, ecc., possono fare in vece sua.
Il capitale sta al lavoro come il denaro sta alla merce: l'uno è la forma generale della ricchezza, l'altro solo la sostanza che provvede al consumo immediato. Nella sua travolgente corsa alla forma generale della ricchezza, il capitale spinge il lavoro oltre i limiti dei suoi bisogni naturali e crea in questo modo gli elementi materiali per lo sviluppo di una individualità ricca, universale nella sua produzione come lo è nel consumo, e il cui lavoro non si presenta nemmeno più come lavoro, ma come pieno dispiegarsi dell'attività stessa, nella quale la necessità naturale nella sua forma immediata è scomparsa, perché al bisogno naturale è subentrato un bisogno storicamente prodotto. Perciò il capitale è produttivo; ossia è un rapporto essenziale allo sviluppo delle forze produttive sociali. Ma cessa di essere tale a partire dal momento in cui lo sviluppo di queste forze produttive trova una barriera nel capitale stesso.[20]

Verso l'abolizione del lavoro salariato

Tanto nella produzione socializzata quanto nella produzione capitalisti­ca, gli operai occupati in branche a più breve periodo di lavoro prelevano sempre solo per poco tempo prodotti senza rendere un prodotto; mentre le branche a lungo periodo di lavoro li prelevano continuamente e per un tempo più lungo prima di restituirli. Questo deriva dalle condizioni materiali di ciascun processo di lavoro, non dalla sua forma sociale. Con la produzione socializzata sparisce il capitale monetario. La società stessa ripartirà allora forza lavoro e mezzi di produzione nelle diverse branche [21]. I produttori potranno anche ricevere dei buoni di carta, mediante i quali prelevano dalle riserve sociali di consumo una quantità corrispondente al loro tempo di lavoro. Ma questi buoni non sono denaro perché non circolano [22].
Supponiamo dapprima di ricondurre il salario al suo fondamento generale, e cioè alla frazione del prodotto di lavoro dell'operaio che entra nel suo consumo individuale [23]. Se liberiamo questa parte dalle pastoie capitalistiche e la estendiamo al volume del consumo consentito, da un lato, dalle forze produttive esistenti della società (cioè la forza produttiva sociale del suo lavoro in quanto lavoro effettivamente sociale), e richiesto, dall'altro lato, dal pieno sviluppo dell'individuo; se riduciamo inoltre il sopralavoro e il sovraprodotto alla quantità che è richiesta nelle date condizioni di produzione della società, da una parte per costituire un fondo di assicurazione e di riserve, dall'altra per estendere continuamente la riproduzione nella misura determinata dai bisogni sociali; se inglobiamo infine, 1. nel lavoro necessario e 2. nel sopralavoro, la quantità di lavoro che i membri validi della società devono sempre effettuare per i membri che non possono ancora o non possono più lavorare, in altre parole, se spogliamo sia il salario che il plusvalore, sia il lavoro necessario che il sopralavoro, del loro specifico carattere capitalistico, non abbiamo più queste forme, ma semplicemente il loro fondamento, comune a tutti i modi sociali di produzione: il lavoro.
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[1] . Questo indirizzo fu redatto il 14.11.1869 da Eccarius su incitamento di Marx che ne rivide il testo prima della pubblicazione.

[2] . Queste rivendicazioni non sono ancora socialiste nel senso di convertire i rapporti capitalisti in rapporti comunisti. Esse sono concepite non solo nella prospettiva di un passaggio pacifico al socialismo (possibile in Inghilterra, se non sul continente preimperialista), ma anche come mezzo diretto per spingere le masse a rovesciare il governo delle classi dominanti con rivendicazioni stabilite nell'interesse delle larghe masse.
Si noterà che tutto il programma, nettamente marxista, parte da misure che riguardano la terra, e comprende misure ancora democratiche in politica e mercantili in economia. L'interesse specifico di questo programma sta nel fatto che misure ancora capitalistiche si intreccino, per promuoverle, con misure già socialiste, come quelle relative alla terra e alla riduzione delle ore di lavoro per tutti.

[3] . Cf. Engels, La questione contadina in Francia e in Germania, novembre 1894, in Die Neue Zeit, n. 10. Sarebbe in realtà necessaria una raccolta specifica sulle questioni di transizione nell'agricoltura, che per il marxismo costituisce la branca fondamentale ad ogni attività economica, in quanto regola l'alimentazione, l'abitazione e l'abbigliamento degli uomini e ne condiziona dunque la riproduzione. Con l'agricoltura si pone inoltre la questione eminentemente politica dell'occupazione della terra e della ripartizione degli uomini nel mondo.
Nella prima fase – nazionale – della rivoluzione, la questione contadina è la chiave della vittoria, specie in un paese arretrato, in cui i contadini costituiscono la grande massa della popolazione e il muscolo della rivoluzione. Le misure di transizione della Comune e quelle che Engels propone qui favoriscono più gli alleati piccolo-borghesi che il proletariato stesso, perché gli operai pagano con pesanti concessioni economiche i vantaggi politici che ricevono in cambio per il bene di tutti quelli che lavorano. Lo stesso contadino non forma una classe, e non ha una visione storica. Il suo dramma sta in questo: da una parte esso è legato alla borghesia e al capitale attraverso la sua proprietà e il peso del passato, dall'altra trova il proprio vantaggio economico nel socialismo insieme al proletariato, ma questo vantaggio richiede uno sforzo e una visione che vanno ben oltre l'immediato – di cui è capace solo nei momenti di crisi sociale quando ha perso ogni illusione di proprietà.
Nel programma agrario di Engels, il contadiname vede notevolmente migliorata la propria sorte rispetto al capitalismo, in cui il contadino è salassato dal fisco, dalle banche, dal commercianti all'ingrosso e altri vampiri usurai, che approfittano di ogni rovescio della condizioni climatiche per espropriarlo, visto che il contadino individuale non possiedo praticamente alcun margine di riserva per far fronte alle calamità naturali e sociali che si abbattono su di lui. Uno dei maggiori vantaggi che il socialismo offre ai contadini è la cooperazione in un quadro sempre più vasto che 1) permette di evitare la proletarizzazio­ne del contadino, cioè la sua rovina e il suo invio in fabbrica e nei sobborghi operai; 2) permette la sua crescente promozione sociale, inglobandolo in unità di produzioni sempre più ampie: di villaggio, cantonali, dipartimentali, e infine nazionali e sociali, di modo che egli raggiunge un livello in cui può combinare attività industriali, scientifiche e agricole, caduti che siano la divisione del lavoro e l'antagonismo tra campagna e città, tra lavoro manuale e intellettuale.

[4] . È nel campo agricolo che si vede nel modo più chiaro come le misure di transizione verso il socialismo siano di carattere essenzialmente effimero, di per sé insufficienti e insostenibili, e come anzi sorpassino se stesse spingendo a nuove misure. Esse hanno per scopo non di proletarizzare il piccolo contadino, ma di spazzare via gli ostacoli  economici, politici e sociali  che circoscrivono la sua visione e il suo campo d'attività all'angusta parcella e gli impediscono di evolvere e di partecipare alla vita e all'opera comune dell'umanità.
Insomma, se il punto di partenza è diametralmente opposto a quello dei proletari, il punto di arrivo è lo stesso per tutti. E proprio quelli che sono più attardati ne traggono i maggiori vantaggi. Il programma agrario mostra chiaramente – e ciò è qui fondamentale – che il socialismo non sarà una società di robot che sviluppa ulteriormente l'industria e le città, il tentacolare Mostro meccanico. Nella catastrofe della crisi economica con le conseguenti guerre e rivoluzioni, il proletariato sarà costretto a partire essenzialmente dalla sezione per lui capitale, quella da cui trae i propri mezzi di sussistenza e in cui incorporerà man mano le conquiste della scienza e della tecnica. È fuori dalle città, nella campagna, che si opererà il movimento verso il socialismo, che è "riconciliazione dell'umanità con la natura e, nello stesso tempo, con se stessa".

[5] Finché nei paesi arretrati dove il proletariato ha preso il potere l'economia non sarà abbastanza avanzata, non sarà possibile socializzare la proprietà agraria, poiché lo Stato, come nello stadio inferiore teorizzato da Marx nella Critica del Programma di Gotha, si appropria tutto il prodotto delle aziende agricole. Le cooperative regionali o locali ancora dispongono pili o meno del loro prodotto, e lo Stato può intervenire nei loro confronti solo con espedienti (nazionalizzazione del suolo, ricambio delle macchine del settore socializzato, ecc): un vero e proprio compromesso ha quindi luogo col contadiname che rappresenta una potenza nello Stato. E' io stadio della dittatura democratica.

[6] . Oggi che il capitalismo è senile e degenerato, la transizione risulta più difficile nell'agricoltura, non solo perché gli operai salariati e la manodopera in generale ne sono scacciati, ma anche perché la meccanizzazione capitalistica rovina la terra: "Nell'agricoltura, l'effetto della sostituzione del lavoratore con le macchine è ancora più intenso. Il contadino è rimpiazzato dal bracciante salariato; la piccola manifattura domestica viene distrutta nelle campagne; gli antagonismi tra città e campagna si aggravano. I lavoratori dei campi sono dispersi e indeboliti, mentre gli operai delle città sono concentrati, e questo fa sì che i salari dei braccianti agricoli scendano al minimo. Nello stesso tempo, il suolo viene depredato. Il modo di produzione capitalistico si sviluppa solo minando la fonte di ogni ricchezza: la terra e l'operaio" (Engels, recensione del Capitale).
L'agricoltura su grande scala ha nondimeno costituito, all'inizio e nel corso del capitalismo, un fattore progressivo, perché la piccola agricoltura parcellare, con i suoi limiti angusti, non avrebbe mai permesso lo sviluppo della meccanizzazione e i moderni procedimenti tecnologici, chimici e fisici, che permettono indubbiamente di nutrire in maniera più razionale l'umanità. Tuttavia noi consideriamo un progresso solo il fatto di aver strappato un surplus di popolazione dalla terra, e di aver aumentate le forze produttive del lavoro, e non delle macchine, che ai giorni nostri il più delle volte distruggono più di quanto non apportino. È evidente che dal momento in cui tre o quattro persone coltivano da sole un centinaio di ettari e più, la terra non può che essere saccheggiata, e si constata che "il piccolo agricoltore è generalmente più produttivo". Uno studio condotto in Argentina, Brasile, Colombia, Equador e Guatemala, ha mostrato che la produzione per ettaro dei piccoli agricoltori è 3-4 volte superiore a quella dei grandi. In Thailandia, terreni da 0,8 a 1,6 ettari producono almeno il 60% di riso in più rispetto ad aziende di 56 ettari e oltre. Lo stesso vale per gli Stati Uniti: nei 14 anni dal 1960 al 1973, il reddito netto agricolo per ettaro è stato solo in due anni più elevato per le grandi coltivazioni che per le imprese familiari ... I piccoli agricoltori seminano in maniera più compatta di quanto può fare una macchina; effettuano completamente le rotazioni dei raccolti; scelgono una combinazione di colture e di bestiame ad alta densità di manodopera e, soprattutto, traggono il massimo dalle loro limitate risorse". (Cf. M. Lappé e J. Collins, Les huit mythes de la faim, in Céres, n. 58, p. 26).
Ciò non significa che il comunismo ritornerà alla piccola coltivazione agricola, ma che combinerà i vantaggi di una agricoltura senza limiti di proprietà con quelli di un'agricoltura umana, con un lavoro di qualità, ossia all'alto livello demografico raggiunto dal lavoro vivo intensivo che utilizza tutte le risorse utili della scienza e della abilità, al fine di trasmettere alle future generazioni una terra migliorata.

[7] . La piccola proprietà fondiaria suscita l'illusione che il suo proprietario sia signore o padrone sulla propria parcella, e questo rapporto si prolunga al di sopra delle generazioni. Sembra imparentarsi ai privilegi dei signori, dei proprietari fondiari e degli industriali, poiché la proprietà rimane attaccata alla persona del capofamiglia, dal quale "si erediterà solo dopo la morte". Già Zola ha mostrato che la stessa legge sull'eredità si capovolge: I due vecchi seggono inebetiti, ed i figli inveleniti tra loro e contro i "danti causa" fanno e rifanno il conto di quanto va riservato loro, resecando l'ultimo etto di pane, l'ultima zolletta di zucchero per il caffè di erbe, calcolando spietatamente il minimo che basta a tenere in piedi una vacillante scheletrica carcassa. Alla fine i vecchi si alzano tremando e appongono all'odiata cartoffia una firma con facce di giustiziati: la bella, la sacra proprietà, protetta da Dio e dal governo, è passata in mani altrui!
E qual è la vita del disgraziato proprietario di questo miserabile pezzo di terra? La sua proprietà è più che precaria; di suo, egli non ha, infatti, che il proprio lavoro e quello della sua famiglia. La minima intemperie può, in un batter d'occhio, comprometterla, una semplice gelata basta a distruggere tutto il raccolto. Malato o ubriaco, la notte che la tempesta rischia di buttar giù la stalla e disperdere il bestiame, egli butta giù dal letto a colpi di cinghia la figlia maggiore perché corra, mezza nuda, a salvare quel che c'è di salvabile. Colui che i poeti agresti chiamano re e padrone non dorme il sonno dei giusti, fin dalla più tenera età, che con un solo occhio e un solo orecchio.
Nel Diciotto Brumaio, Marx spiega che la piccola proprietà fondiaria genera non solo gravi difficoltà economiche per il contadino parcellare, ma altresì il dispotismo e il totalitarismo politico di uno Stato centralizzato. La libertà parcellare suscita diretta­mente il dispotismo amministrativo, la dittatura: "La piccola proprietà parcellare, per la sua stessa natura, serve di base a una burocrazia onnipotente e onnipresente. Essa crea su tutta l'estensione del paese l'uguaglianza dei rapporti e delle persone e, di conseguenza, la possibilità per un Centro supremo di esercitare un'azione uniforme su tutti i punti di questa massa uguale. Essa distrugge gli strati aristocratici intermedi tra la massa del popolo e questo potere centrale. Essa provoca quindi dappertutto l'intervento diretto del potere di Stato centrale e l'ingerenza dei suoi organi diretti" (Cap. VII, fine).

[8] . Nella sua lettera a Fr. A. Sorge, Engels ricorda le circostanze concrete che spiegano le concessioni eccessive fatte dai partiti operai tedesco e francese al contadiname: "Sul continente, con i successi, cresce il desiderio di successi ancora più grandi e diventa di moda l'irretimento dei contadini nel senso letterale del termine. Prima i francesi dichiarano a Nantes per bocca di Lafargue non solo ciò che io avevo loro scritto, e cioè che non è compito nostro con un intervento diretto da parte nostra accelerare la rovina dei piccoli contadini, cui il capitalismo provvede per noi, ma anche che bisogna proteggere direttamente i piccoli contadini contro il fisco, gli usurai e i grandi proprietari fondiari. Ma noi non possiamo accettare questo, poiché in primo luogo è stupido e in secondo luogo impossibile" (10.11.1894).
A Lafargue Engels scriveva il 22.8.1894: "In generale, le concezioni dei due partiti operai (tedesco e francese) sono le stesse, solo che voi, i rivoluzionari intransigenti d'un tempo, ora pendete dalla parte dell'opportunismo un po' più dei tedeschi, che probabilmente non appoggeranno alcuna misura che possa servire a mantenere o preservare la piccola proprietà contadina contro l'azione dissolvente del capitalismo. D'altra parte, si sarà d'accordo con voi che non è compito nostro accelerare o forzare questa azione dissolvente, e che l'importante è raggruppamento dei piccoli proprietari in associazioni cooperative agricole in vista d'una coltura in comune e su vasta scala". Sull'importanza decisiva della questione contadina, nell'evoluzione dei partiti operai alla fine del secolo scorso, e del loro fallimento ulteriore: cf. Marx-Engels, La Socialdemocratie allemande, Ed. 10/18, Parigi 1975, cap. Violenza e questione contadina, p. 301-339.

[9] . Alcuni contraddittori hanno opposto a Marx che le sue tesi sull'espropriazione, la concentrazione e la centralizzazione crescente del capitale erano negate dalla sopravvivenza massiccia nell'agricoltura della piccola e media proprietà gestita dalla famiglia, e dalla diminuzione del numero dei braccianti agricoli nei paesi sviluppati. Ma la tesi di Marx è diametralmente opposta. Questi fenomeni si verificano nell'industria che li ostacola nell'agricoltura, perché il settore predominante del capitalismo è la produzione industriale che spinge al progresso dell'agricoltura solo per depredarla di materie prime, forze lavoro, mezzi di sussistenza, ecc. Ma questo non può offrire alcuna soluzione alla questione agraria, in quanto la stessa agricoltura, se profitta dei progressi tecnici, non lo fa secondo le proprie esigenze, ma è industrializzata, meccanizzata, chimizzata, uccisa e colpita da barbarie tutt'altro che linguistiche.
Finché mercantilismo e denaro domineran­no la società e regoleranno gli scambi fra i settori della produzione, lo squilibrio fra città e campagna è destinato ad esasperarsi sempre più: la stessa nazionalizzazione della terra non potrebbe risolvere la questione, in quanto continuerebbe a lasciar sussistere la rendita, se pure attribuita allo Stato.
La nazionalizzazione della terra può essere applicata, come misura di transizione effimera alla scala storica, solo dal socialismo, che fonderà in un solo crogiolo tutto l'apparato produttivo, eliminando lo sparpagliamento e l'autonomia delle aziende, unico mezzo per socializzare tutte le branche dell'economia o abolire l'antagonismo tra sviluppo industriale e agricolo. >
> In un paese arretrato, le misure di transizione non possono che mirare a questo lontano obiettivo, cercando con la nazionalizzazione di smorzare l'antagonismo delle opposte evoluzioni. Ma ciò non basta tuttavia ad impedire il dramma della forbice dei prezzi con la conseguente lotta di classe nelle campagne.
Il capitalismo esploderà proprio perché, da un lato sospinge all'infinito lo sviluppo delle forze produttive nell'industria, mentre dall'altro rovina fatalmente la terra affamando sempre più grandi masse dell'umanità. La sopravvivenza della piccola e media proprietà non può velare questi mali, ma piuttosto ne attesta lo scacco.

[10] . Così indennizzeremmo con piacere i signori proprietari fondiari e capitalisti per la loro proprietà (patrimonio) della terra e dei mezzi di produzione, sapendo che la cifra di affari realizzata con questo "capitale" è, nello spazio di una generazione, almeno venti volte superiore al capitale stesso. Ma proprio per questo essi non accetteranno l'indennizzo, o fingeranno di volerlo quando la rivoluzione avrà con la violenza saldamente conquistato il potere. Il rivoluzionario più radicale non teme dunque di fare la proposta seguente: "Voi, borghesi gaudenti, andrete pure in un'isola di sogno, coi vostri immancabili tirapiedi e farete festa a nostre spese finché, come le classi aristocratiche, cesserete di riprodurvi!".

[11] . Quest'ultima precisazione di Engels permette di evitare un errore tanto grave quanto diffuso, ossia che ciascun produttore dovrebbe venire in possesso dei propri mezzi di produzione, tra cui la terra, col bel risultato di ritornare alla parcellizzazione totale della terra e alla rivendicazione di tutto il prodotto del lavoro a ciascun lavoratore – formula proudhoniana e lassalliana –, insomma all'egualitarismo confuso e proprieta­rio degli anarchici, al livellamento – e non all'abolizione – delle classi. È quanto Engels precisava a Carlo Cafiero, il 28.7.1871 : "Tutti, nel Consiglio generale dell'A.I.L., sono per l'abolizione delle classi sociali, e non esiste un solo documento del Consiglio generale che non sia in armonia con questo. Ci dobbiamo liberare dei proprietari fondiari e del capitalisti, sostituendoli con le classi alleate degli operai dell'industria e dell'agricoltura che spingeremo ad impadronirsi di tutti i mezzi di produzione: terra, attrezzi, macchine, materie prime e mezzi di sussistenza, che permettano loro di sopravvivere durante il tempo necessario alla produzione. In questo modo va abolita l'ineguaglianza. E per portare quest'opera a compimento, abbiamo bisogno dei potere politico del proletaria­to".

[12] . La "proprietà reale del lavoratore" di cui parlano talvolta Marx ed Engels significa, in realtà, abolizione di ogni proprietà privata, appartenga essa a individui particolari o associati, allo Stato, alla nazione o addirittura alla società hice et nunc, così come presuppone l'abolizione di ogni oggetto di proprietà (terra, strumenti di lavoro in generale e prodotti del lavoro).
La stessa parola proprietà non si concepisce che con l'epiteto privata, e poco importa ai comunisti o collettivisti che si tratti di proprietà privata di persone, di gruppi o di classi, ecc, poiché essa esclude la restante parte dell'umanità dal diritto di disporre dell'oggetto di proprietà, se non dando qualcosa in cambio – il che reintroduce sano sano il mercantilismo. Per la terra, la cosa è più evidente in quanto la sua caratteristica è la recinzione che circonda il possedimento o dominio (parola che richiama sia domus, casa, che dominazione) non traversarle senza il consenso del proprietario. Insomma, proprietà privata significa che il non-proprietario è privato della facoltà di entrarvi. Ora, tutta la dimostrazione di Marx-Engels nei testi sopra ricordati è appunto di mettere in luce la tesi comunista: chiunque sia il soggetto del diritto di proprietà, persona privata o persona morale collettiva, il carattere di privazione sopravvive per tutti gli altri uomini. Tutta la difficoltà per ciò che concerne le misure di transizione verso il socialismo, cioè l'abolizione di ogni proprietà (privata), consiste nell'afferrare che solo vi si può pervenire alzando la proprietà privata delle persone a un livello di individui o meglio di entità sociali (Stato, nazione, ecc.) per sfociare alla sua abolizione finale nel comunismo superiore. Tutte queste forme di proprietà superiori alle precedenti sono insomma solo dei punti di passaggio, poiché la cosa essenziale è il movimento e non questi punti fissi. Nel marxismo comunista, la "proprietà reale del lavoratore" sarà realizzata solo quando ogni proprietà sarà abolita e chi lavora non potrà più essere spogliato della terra e del mezzi di produzione, in quanto questi ultimi non apparterranno più ad alcuno che possa privarne gli altri: il mondo intero è a sua disposizione, non vi sarà più cioè, "proprietà che vieta". Insomma, solo quando l'esistenza o l'essere sarà sinonimo non più di avere, di possedere, bensì di usufrutto, di uso, di cui non si può abusare né disporre ad esclusione di altri.

[13] . Il Partito operaio, che anticipa l'evoluzione verso il comunismo (il quale corrispondendo all'interesse di tutta l'umanità può essere l'aspirazione di ogni uomo), può  accogliere nei suoi  ranghi  transfughi di  ogni classe desiderosi di  lottare per la realizzazione del fine comunista. Il Partito non può però ammettere gruppi di individui portatori di interessi economici separati e particolari implicanti la proprietà di gruppi, intraprese o associazioni di produttori che impediscono al resto dell'umanità l'accesso all'oggetto di proprietà. Il marxismo combatte quindi ferocemente ogni forma di corporativismo, operaismo e gestionismo di particolari branche della produzione da parte dei produttori, anche se associati. Il mero termine di proprietà nazionale scavalca la proprietà di elementi, gruppi, categorie, strati o classi sociali particolari, si tratti di aziende o di categorie sindacali e professionali. Esso non è limitato dal tempo. Etimologicamente nazione deriva da nascere e ingloba la successione delle generazioni viventi, future e anche passate. Per noi, il vero soggetto dell'attività sociale deve essere più ampio della società in cui vivono gli uomini della sola generazione presente. In questo senso, il termine nazione – meglio che il termine Stato – esprime il divenire verso la specie umana, che oltrepassa tutte le ideologie borghesi del potere e della sovranità giuridico-politica, propria dei democratici. Allo stesso modo, il concetto di classe – e di Partito di classe – nega l'affermazione che lo Stato rappresenta tutti i cittadini viventi.

[14] .  Cf. Marx a Engels, 30.10.1869.
In realtà, la storia non ha ripetuto, alla scala nazionale, la via francese della rivoluzione borghese, cioè la parcellizzazione della grande proprietà feudale con la creazione di un piccolo contadiname, votato a un lungo e doloroso processo di pauperizzazione. Questa via borghese radicale si oppone direttamente alle concezioni agrarie del partito proletario: cf. L'Indirizzo del Consiglio Generale, marzo 1850.

[15] . Cf. Engels, Prefazione alla seconda edizione della Guerra dei contadini, febbraio 1870.

[16] . I delegati del Consiglio Generale diretto da Marx fecero approvare al Congresso di Basilea del 10 settembre 1869 la seguente risoluzione relativa alla proprietà fondiaria: 1. La società ha il diritto di abolire la proprietà privata del suolo e di convenirla in proprietà collettiva; 2. È una necessità abolire la proprietà privata del suolo e convenirla in proprietà collettiva.

[17] . Per ciò che concerne la Francia, dove la piccola proprietà parcellare era allora ancora largamente prevalente, Engels aveva proposto concrete misure di transizione in La questione contadina in Francia e in Inghilterra.

[18] . Cf. Marx, Grundrisse, cit., p. 277.

[19] . Insomma il processo di socializzazione dell'uomo iniziato col capitalismo, una volta dissolti i rapporti di produzione parcellare in cui l'individuo è libero uguale ed autonomo, è essenzialmente disciplinamento ad opera della dittatura di classe. Qui anche, Marx riconosce i meriti storici del capitale, pure denunciandone l'aggravamento in seguito allo sfruttamento di una classe che vive a carico del lavoro dell'altra. La società comunista presuppone un elevato grado di controllo dell'uomo su se stesso, in quanto sostituirà alla dittatura del denaro e dei bisogni urgenti sorti dalla mancanza di ogni riserva, che spinge il povero a sottomettersi alle condizioni autoritarie del capitale, la libera associazione dei produttori, i quali dovranno quindi dar prova di un senso sociale che verrà peraltro altamente sviluppato nel corso dei cimenti della transizione al socialismo.

[20] . Questo passo si collega al precedente in quanto trae le conclusioni della schiacciante vittoria del capitale fisso sul lavoro vivo. Il freddo mostro ha ormai eliminato la base economica e tutte le classi. Tutto il progresso anteriore è condensato nell'anonimo e impersonale capitale fisso che si tratta di dissolvere perché l'uomo riconquisti i risultati tecnologici delle passate generazioni.
Il mezzo è semplice: bisogna distruggere il mercantilismo, che organizza il capitale su base, aziendale autonoma e sfrutta a proprio vantaggio e a danno delle forze produttive viventi il lavoro passato e attuale fondandosi su una ormai sorpassata divisione del lavoro. Di un sol colpo crolla la rete alienata delle aziende private che racchiudono il capitale fisso, mentre il lavoro vivente, emancipato dalla conquista del potere politico, ritrova libero accesso ed iniziativa nel processo lavorativo ormai universalizzato a profitto dello sviluppo dell'uomo.

[21] . Cf. Marx, Il Capitale II, sez. III, cap: XVIII fine.
È dal meccanismo stesso della produzione socializzata che Marx trae le sue deduzioni sull'abolizione progressiva del salariato, e dunque della classe proletaria stessa, in un paese sviluppato col proletariato al potere tutta la produzione va alla collettività: i buoni di lavoro, a brevissima validità, rispondono ai bisogni correnti del lavoratore, mentre la società trasferisce ricchezze, mezzi di produzione, materie prime, ecc. nelle diverse branche d'industria senza tener conto del loro valore di scambio monetario. Con l'eliminazione del denaro sono scomparsi i rapporti sociali di produzione alla scala sociale che generavano le classi dei borghesi industriali e finanziari, dei proprietari fondiari e dei piccolo-borghesi: tutti sono obbligati a lavorare produttivamente per vivere. Il lavoro stesso è quindi in parte emancipato, poiché il valore-lavoro è immediatamente rimpiazzato NELLA produzione dal lavoro-utilità. Infatti, anche se un articolo non è redditizio nel senso del capitale, con la sua frenesia dei costi di produzione più bassi possibile che lo spinge a rimpiazzare la lana troppo cara col cotone, quindi col nylon, ecc., esso verrà prodotto se le forze produttive lo consentano, anche se occorro più lavoro per produrlo: è utile. I buoni di lavoro non sono più denaro: il principio di equivalenza che vi prevale si effettua nella distribuzione e nel consumo limitato al personali bisogni del lavoratore. La sua abolizione è già avanzata: è irreversibile. Esso trova la sua ragion d'essere nel fatto che le forze produttive non creano ancora con la necessaria abbondanza, per cui occorre contingentare un ultimo settore economico. Basterà un semplice sviluppo della produzione ad averne ragione.

[22] . I buoni di lavoro servono a remunerare esclusivamente i lavoratori individuali nel settore dei prodotti finiti del consumo diretto. Già gran parte degli umani bisogni sono soddisfatti senza tener conto del contributo al lavoro (sussistenza dei vecchi, bambini, malati, salute, scuola, trasporti collettivi, ecc.) e questa sfera del consumo gratuito si estende continuamente a nuovi articoli, con una corrispondente riduzione della sfera in cui vengono impiegati i buoni di lavoro.
E poiché sarà la società a determinare la produzione in base all'utilità e ai bisogni, a partire dai più fondamentali e universali, e via via fino a quelli più elevati e volti allo sviluppo in tutti i sensi dell'uomo, la produzione stessa può essere rigorosamente pianificata, senza trascurare gli articoli fondamentali a vantaggio del lusso e del superfluo, che hanno la priorità poiché vanno alle classi ad alto reddito: il consumatore non determinerà più secondo i propri capricci e la propria fantasia i prodotti di cui ha bisogno: il valore d'uso gli verrà attribuito nelle migliori condizioni – ed egli potrà occuparsi di cose più importanti. Il grande risultato dell'abolizione della moneta con l'assegnazione dei prodotti utili in un primo tempo consisterà nel fatto che la società non dovrà più passare attraverso l'arbitrario intermediario del denaro e del suo corollario, il mercato "libero" (per i privilegiati): essa può perciò fare un piano di produzione in funzione ai beni utili che è in grado di produrre.

[23] . Cf. Marx, Il Capitale III, sez. VII, cap. 50, L'apparenza della concorrenza, . Questo brano è rimarchevole poiché condensa in pochi punti il processo economico dell'abolizione delle classi, in due tempi: 1. riportare tutti i redditi a quello del lavoro, sopprimendo quindi il profitto, la rendita, ecc. e le classi che ne vivono; 2. spogliare il lavoro del suo carattere salariale, avviando così l'abolizione del proletariato stesso. Tratta dai vasti quanto minuziosi studi economici del Capitale, questa pagina rappresenta la sintesi della Critica del programma di Gotha e rivela la chiara intenzione di Marx: trarne il programma di transizione alla società comunista.

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